Quello delle tre missioni dell’Università di Udine è ormai diventato un “mantra”. Lo ripeto da sette anni per spronare l’ateneo a perseguire non soltanto la ricerca e l’alta formazione, ma anche il servizio al territorio, per coerenza alla sua origine di università nata per iniziativa popolare.
Penso che il messaggio sia stato ormai perfettamente recepito, sia all’interno che all’esterno di questa ex “torre d’avorio”. Ecco alcune prove. Ricercatori dell’Ateneo di Udine, attraverso un laboratorio finanziato grazie a una partnership pubblico-privata che ha coinvolto vivaisti e produttori vitivinicoli, fondazioni e banche di credito cooperativo, Università, Friuli Innovazione e Regione, lo scorso agosto hanno completato il sequenziamento del genoma della vite, quarta specie vegetale al mondo. Un risultato che è la premessa a un approccio davvero scientifico e innovativo, a una vocazione territoriale e a una filiera economica fondamentale del Friuli. Quest’anno abbiamo avuto un incremento dell’ 8,27% nelle immatricolazioni, contro un calo, per motivi demografici, del 3% dei diplomati. I brevetti dell’Ateneo sono 52, dei quali la metà commercializzati, le aziende spin off sono 18.
Oggi sono numerose le università in tutto il mondo che insieme a noi recitano questo “mantra”. Nel frattempo, inconsapevolmente, in questi anni abbiamo perseguito anche una quarta missione, che oggi riconosciamo con chiarezza: la riqualificazione urbana, in molte aree della città. Attorno a via Tomadini, ai Rizzi, al complesso delle vie Mantica-Antonini-Florio-Caiselli, anche grazie all’università, la città oggi è più viva, 24 ore su 24. Alla popolazione di soldati che animava Udine fino agli anni Ottanta, oggi si è sostituita una popolazione di studenti, con beneficio economico e culturale per tutti. La progettazione dell’edilizia universitaria non è ancora completa però. Anzi, sarà uno dei grandi obiettivi del 2008.
Il ministro Mussi ha chiamato le università ad un’ulteriore quarta missione: educare quante più persone possibile alla cultura della complessità e alla capacità di mettere in relazione ogni ambito della società. Un appello che, su scala globale e con sfumature diverse, mi ha ricordato quello fatto dal Dalai Lama nella sua recente visita a Udine. Il premio Nobel per la pace ha evidenziato un apparente paradosso dell’era della globalizzazione. Proprio nell’epoca in cui ci sono sei miliardi di uomini sulla terra e le interazioni sono cresciute a dismisura, nessuna comunità è più autosufficiente. Tanto più crescono le relazioni, infatti, tanto maggiore è l’impatto di ogni azione compiuta da ogni singolo individuo non soltanto sul suo prossimo immediato, ma anche sull’intero pianeta.

Furio Honsell

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