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Approvvigionamento dalla Cina: una scelta strategica per le imprese

Pronti i primi risultati di un progetto coordinato dall’Università di Udine in collaborazione con gli atenei di Magdeburgo (Germania) e Pechino (Cina). Finora il gruppo italiano ha studiato sette aziende del Friuli e del Veneto.
Viene scelto inizialmente per il basso costo del lavoro (circa un decimo rispetto a quello italiano) e dell’energia (circa un terzo di quella italiana), ma, alla lunga, l’approvvigionamento dalla Cina da parte delle industrie italiane e, in particolare, friulane, non rappresenta soltanto una risposta ad esigenze contingenti, bensì un disegno strategico più ampio per ottenere un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. Lo dimostra il fatto che il primo criterio di selezione dei fornitori cinesi è la qualità e solo al secondo posto c’è il prezzo. Sono alcuni dei risultati che emergono dal progetto di ricerca guidato dal gruppo di lavoro del dipartimento di Ingegneria Elettrica Gestionale e Meccanica dell’Università di Udine, in collaborazione con gli atenei di Magdeburgo (Germania) e Pechino (Cina). Il progetto, cofinanziato dall’Unione Europea, ha una durata di 15 mesi e analizzerà le modalità di approvvigionamento dalla Cina di oltre 30 gruppi industriali europei ed asiatici. Cominciata nel mese di dicembre del 2002, la ricerca terminerà a febbraio 2004. Di recente, il gruppo di ricerca al completo si è riunito a Udine per presentare i primi risultati. Oltre al gruppo italiano coordinato dal professor Guido Nassimbeni, docente di Economia e Strategia aziendale della facoltà di Ingegneria, e composto dagli ingegneri Marco Sartor e Dario Danelon, dalle dottoresse Carla Fioritto e Silvia Cini, oltre all’ingegner Pietro Corigliano di “Innova”, c’erano anche il gruppo di ricerca tedesco, formato dal professor Hermann Kuhnle e dall’ingegner Jorg Martinez, e quello cinese, composto dai professori Fang Yan e Chen Zhaoying. Finora, per quanto riguarda il gruppo di ricerca italiano, è stato studiato un campione di sette aziende, attive in settori diversi tra quelli maggiormente coinvolti nell’interscambio con la Cina: Danieli di Buttrio (impianti meccanici), Asem di Artegna (elettronica), Trudi di Tarcento (giocattoli), Thun di Bolzano (accessori per l’arredamento), Savio di Pordenone (impiantistica tessile), Safilo di Padova (occhialeria) e DeTa di Manzano (arredamento) . La Cina, dunque, rappresenta un’opportunità per le imprese friulane, anche grazie all’importante crescita tecnologica del paese del Far East che permette di coniugare costi contenuti e approvvigionamenti di qualità. Non mancano, comunque, gli ostacoli. Secondo le imprese del campione, i principali sono il linguaggio e la distanza sia culturale che geografica. Difficoltà di tipo logistico possono inoltre intercorrere nel caso in cui i fornitori non siano distribuiti in corrispondenza della fascia costiera del paese: l’ubicazione in aree diverse prevederebbe infatti costi di trasporto che non renderebbero competitiva questa scelta. C’è poi la necessità di realizzare il controllo qualità in loco prima delle spedizioni in Italia. Dalla ricerca emergono inoltre tre grandi modelli di acquisto dei beni dalla Cina. Il primo, caratteristico di specifici comparti industriali, è quello “imposto”: il cliente cinese impone alcuni fornitori all’azienda acquirente che, di conseguenza, non può compiere questa scelta in base a valutazioni di convenienza. È il caso della Danieli: la Cina nel 2002 ha rappresentato circa il 20% del fatturato del gruppo. Tuttavia, per tutti gli impianti che l’azienda di Buttrio ha finora realizzato in quel paese, buona parte del valore di ciascuna commessa è demandata a fornitori tra quelli imposti dai clienti. Di solito i fornitori “imposti” non hanno competenze evolute e l’obiettivo dei cinesi è appunto quello di qualificare il sistema produttivo locale. Il secondo modello è quello del direct international sour-cing, in cui l’approvvigionamento tra cliente e fornitori si realizza direttamente, senza cioè l’intervento di intermediari. Questa forma di approvvigionamento può essere sia di tipo tradizionale (senza la presenza di alcuna forma di integrazione cliente-fornitore), sia di tipo collaborativo “non equity”, sia di tipo collaborativo “equity”. L’approvvigionamento collaborativo di tipo “equity” si differenzia da quello non “equity” in quanto prevede partecipazione di capitale finalizzata a mantenere un maggior controllo dei fornitori nei casi in cui, ad esempio, vi siano problemi di riservatezza tecnologica o di privativa industriale. Il modello “tradizionale” viene preferito in genere quando sia il prodotto sia l’ambiente industriale non presentano particolari complessità (codici standard) e quindi l’attività di approvvigionamento non risulta problemati ca. In altri casi, invece, questa scelta viene compiuta quando l’acquisto riguarda la fornitura di codici realizzati in Cina ma da aziende multinazionali estere, il cui livello di affidabilità è ritenuto adeguato. Un esempio è quello di De-Ta (settore arredo ufficio) che per la fornitura di molle a gas ha scelto un’azienda coreana leader mondiale di questa produzione che ha delocalizzato in Cina. Diversamente, la Trudi di Tarcento mantiene con i fornitori rapporti di stretta collaborazione, tanto che, dopo un’attenta formazione e trasferimento del know-how in loco, al personale asiatico è stata demandata non soltanto parte delle attività, ma anche delle respon-sabilità per quanto riguarda il controllo della qualità. Infine, esiste un terzo modello, definito intermediated international sourcing. In questo caso l’attività di approvvigionamento è mediata e non prevede il contatto diretto fra acquirente e fornitore, bensì la transazione è operata da terzi che facilitano il rapporto. Non è infrequente inoltre il ricorso ad aziende coreane e taiwanesi per l’acquisto di prodotti realizzati in Cina (Asem, Savio). Si tratta evidentemente di imprese che operano in contesti economici e industriale che per ragioni storichepresentano maggiori affinità e familiarità con le prassi gestionali occidentali. Dalla ricerca emerge inoltre come il pericolo Sars, che inizialmente sembrava destabilizzare le struttura degli approvvigionamenti asiatici del campione, appare invece pressoché superato. Con due conseguenze principali: il potenziamento della sicurezza della supply-chain (es.: strumenti a raggi UV per la sterilizzazione dei prodotti Trudi, strumenti di controllo dell’avanzamento dei flussi di materiali) e una maggiore attenzione alla distribuzione geografica del rischio connesso agli approvvigionamenti.   Il progetto di ricerca Titolo Strategie di approvvigionamento internazionale dal mercato cinese Partner università di Magdeburgo (Germania) e di Pechino (Cina) Durata 15 mesi Inizio dicembre 2002 Fine febbraio 2004 Campione 30 imprese europee e asiatiche   I primi risultati della ricerca     Azienda Acquisti internazionali Inizio acquisto da Cina Trudi 100% 1989 Thun 80% 1994 Danieli 60% 1998 Asem 55 % 1992 55 % 1992 Safilo 40% 1995 Savio 35% 2003 35% 2003 De-Ta 15% 1998