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Bollino blu, bollino rosso...bollino giallo?

La storia della comunicazione pubblicitaria in Italia è caratterizzata da una serie di messaggi fondamentali per lo sviluppo della cultura mediatica del consumatore: dalla Carmencita Lavazza, all'ippopotamo blu della Lines. Nella maggior parte dei casi l'elemento che ha determinato lo sviluppo di una nuova marca è stata L'innovatività del prodotto che veniva introdotto nel mercato. Il caffè Lavazza era il primo caffè premacinato ed in confezione sottovuoto, i pannolini Lines modificavano la vita di molte famiglie eliminando la necessità di "stendere i panni". Di natura diversa è il caso della Chiquita che, a parità di successo, è un esempio di trasformazione del significato specifico di qualità di un prodotto presente in natura: la banana. L’elemento distintivo: la presenza di un bollino blu con l’identificativo del marchio, avrebbe dovuto permettere la distinzione di un prodotto di qualità da un “semplice banana” senza nome. Dal punto di vista degli studi economico-manageriali, lo sviluppo dei marchi e delle marche è giustificabile in termini di utilità collettiva considerando la limitata capacità di elaborazione delle informazioni da parte dei soggetti decisore e l’applicazione del principio della “razionalità limitata” (Simon 1948) da parte dei decisori secondo la quale non si ricerca la soluzione ottima relativamente ad una scelta ma il decisore sceglie l’alternativa che supera un livello determinato di soddisfazione. In contesti sempre più complessi la presenza di simboli che permettono di semplificare le scelte determina un’utilità collettiva in quanto riduce lo sforzo di raccolta dati e di selezione delle alternative. La richiesta di indicatori di sintesi si è ulteriormente sviluppata a seguito dello svilupparsi dello iato tra conoscenze presenti nei prodotti e conoscenze necessarie a comprendere i prodotti da parte della domanda (chi di noi al tatto sa distinguere la composizione di un tessuto à lana, contone, viscosa e varianti?). Le due tendenze individuate permettono di definire uno spazio di sviluppo dei marchi (di qualità o meno) che si amplia e che tende ad essere occupato da elementi di natura diversa. Da una parte marchi aziendali spinti con forti campagne di comunicazione (Chiquita docet) dall’altra parte marchi di qualità collettivi frutto di spinte sociali ed organizzative. Alcuni di questi marchi hanno natura giuridica (il marchio CE, il bollino rosso del MIUR) altri solo valore associativo (i marchi ISO). Un elemento emblematico presente nella diffusione dei marchi e delle marche è il suo contenuto sociale: la definizione del marchio, la sua diffusione, la legittimazione, l’uso dei marchi e dei sistemi di qualità che ad essi sono connessi sono tutti processi che scontano una natura sociale e definiscono il proprio valore oggettivo in relazione alle comunità che in tale processo-marchio credono. Una lettura più attenta di tali componenti sociali dei processi può aiutare a comprendere l’utilità e/o la disutilità economica di tali elementi nonché le trappole presenti nei processi. Tutti i sistemi di identificazione di marchi necessitano la definizione (esplicita o implicita) di: principi, criteri, parametri, requisiti, indicatori. Nella definizione di queste componenti dei marchi possono individuarsi delle “trappole” per gli utilizzatori dei marchi: l’oggettività, la misurabilità, il costo, il business. Vista la necessità sociale di avere a disposizione di simboli informativi sulla qualità dei prodotti ed in presenza di un numero limitato di indicatore di qualità i soggetti della domanda caricano di oggettività tali indicatori. Non ci si domanda se l’indicatore spiega il fenomeno. In effetti non c’è nulla che comunica oggettività quanto un numero. La trappola della misurabilità è connessa al ciò che si misura. Chi ha esperienza di misurazione evidenzia come il processo di misurazione delle caratteristiche di un sistema non è guidata, in prima battuta, dall’importanza dei fattori da misurare ma dalla facilità di misurazione. Ad esempio è molto più facile individuare la qualità del servizio di un’università definendo come “primo spurio indicatore” i metri quadrati per studenti/docente e il numero di studenti per docenti. Continuando con la metafora è stato più facile per Chiquita misurare l’omogeneità del colore della buccia della banana come indicatore di qualità piuttosto che il rapporto esistente tra questo colore e il livello di maturazione del prodotto alimentare interno. L’effetto di tale trappola è connesso alla diffusione di indicatori di qualità che sono parziali ma facili da misurare. Tali indicatori inevitabilmente influenzano sia la qualità domanda sia la qualità offerta dalle organizzazioni misurate o in procinto di essere misurate. La trappola del costo fa riferimento al bilanciamento tra l’insieme di costi diretti ed indiretti, impliciti ed espliciti che vengono sostenuti per far funzionare l’insieme di meccanismi necessari a mantenere in vita un sistema sociale di indicatori. Comitati centrali e periferici di controllo, nuclei di autovalutazione, sistemi di controllo per l’esterno, comunicatori, ….. tutti sono sostenuti nell’idea che la precisione, la correttezza della misurazione sia l’elemento pregante della misurazione della qualità. Nella realtà tali elementi possono avere un valore utile inferiore alla capacità di persuasione di un messaggio. In effetti la capacità del messaggio di comunicare qualità può essere superiore al contenuto del messaggio inficiando molto del lavoro sviluppato in precedenza. L’ulteriore trappola che può individuarsi nel business che i sistemi di qualità e di marchiatura attivano. Soggetti che hanno sviluppato capacità di implementazione di sistemi di misurazione della qualità (composto da regole, parametri, indicatori, procedure, marchi) cercano di sviluppare economie di scala e di scopo attraverso la diffusione dell’applicabilità dell’interno sistema a comparti economici diversi da quelli di origine. E’ l’utilità economica interna al sistema della valutazione che presume un’utilità collettiva nella diffusione dello specifici sistema di qualificazione e attraverso autopropulsione attua una spinta per entrare in altri ambiti. Lo sviluppo della certificazione Iso in quasi tutti i comparti economici è un esempio emblematico. Come uscire da queste trappole o d almeno come esserne coscienti? Hirshman ci ha dato una prima possibile risposta. Nei gruppi sociali, e come abbiamo sottolineato quando analizziamo la qualità ci occupiamo di processi sociali, è possibile sviluppare una relazione tra soggetti attraverso tre modalità: lealtà, defezione, protesta. Lo possiamo fare come consumatori (no global, consumo alternativo, ecc.), come cittadini (movimenti, partecipazione a gruppi d’opinione, ecc.), come istituzioni (?).  
Andrea Moretti