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Pazienti con traumi gravi: al Sud rischio mortalità più alto del 60%

I risultati di una ricerca della cattedra di Epidemiologia in collaborazione con l’Istituto “Mario Negri” di Bergamo
Il coordinatore della ricerca, Stefano Di Bartolomeo
Nell’Italia meridionale il rischio di morte è più alto di circa il 60 per cento rispetto al Nord tra i pazienti ricoverati nei reparti di Rianimazione a causa di un trauma grave. Anche al Centro il rischio è maggiore rispetto al settentrione, ma diminuisce al 30 per cento. I dati sono il risultato di uno studio sulle differenze di mortalità tra i pazienti vittime di trauma grave in diverse zone d’Italia compiuto dalla cattedra di Epidemiologia della facoltà di Medicina dell’Università di Udine in collaborazione con l’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Bergamo. Per trauma grave si intende quello provocato, ad esempio, da un incidente stradale, da un infortunio sul lavoro o da un incidente domestico e che richiede il ricovero in Rianimazione.   La ricerca ha riguardato un campione di 9162 pazienti traumatizzati, ricoverati in quasi la metà dei reparti di Rianimazione italiani nel periodo 2002-2005. Il rischio è più alto negli ospedali non specializzati nel trattamento dei pazienti traumatizzati gravi, strutture che infatti sono meno diffuse al Sud. La notevole disparità riscontrata tra le due zone del Paese, spiega lo studio, è con tutta probabilità da attribuire a differenze nella qualità delle cure, ma anche alla maggiore diffusione del servizio 118 al Nord all’epoca della ricerca. Attualmente il servizio 118 ha infatti raggiunto la copertura totale anche al Sud, ma le altre disparità permangono. I ricercatori dell’Ateneo friulano hanno calcolato la mortalità a distanza dall’evento traumatico eliminando l’effetto di fattori di rischio quali l’età, il sesso, l’eventuale coesistenza di altre patologie, la gravità delle lesioni. Le differenze di mortalità sono quindi dipese esclusivamente dal fatto di essere curati in un’area geografica piuttosto che in un’altra e non da questi o altri possibili fattori di rischio. I dati utilizzati dallo studio provengono dal Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva (Giviti). In Italia, nonostante il trauma sia una delle più importanti patologie in termini di mortalità e invalidità, la qualità dell’assistenza sanitaria a questi pazienti è poco studiata e i moderni principi di trattamento sono ancora poco diffusi. «Ora – spiega il coordinatore della ricerca, Stefano Di Bartolomeo – è indispensabile approfondire lo studio di questa patologia e incrementare i dati disponibili, sia per confermare l’esistenza delle disuguaglianze nazionali e porvi rimedio, ma anche per capire se la migliore qualità esistente è in linea con quella di altre nazioni o può essere ulteriormente perfezionata». L’impatto sulla salute della patologia traumatica può essere mitigato in maniera consistente (fino al 30% in meno di mortalità secondo l’Organizzazione mondiale della sanità) applicando alcuni principi: l’istituzione di strutture specializzate e accreditate per il trattamento della patologia traumatica come interi ospedali dedicati (Trauma center, i più costosi) o strutture integrate all’interno di ospedali generali (Trauma service); la verifica continua della qualità di queste strutture attraverso la raccolta e analisi di dati sui casi trattati (Registri traumi); un sistema di emergenza territoriale e di accordi tra ospedali per far giungere i pazienti in queste strutture nel minor tempo possibile e nelle migliori condizioni; la regionalizzazione del coordinamento, a garanzia che la pianificazione e l’applicazione di questi punti avvengano in maniera logica e omogenea su tutto il territorio, mentre l’accreditamento e la verifica dovrebbero invece avvenire su base nazionale. «In assenza di una normativa nazionale, solo poche regioni – precisa Di Bartolomeo – hanno iniziato a muoversi per applicare appieno questi principi, tra queste l’Emilia Romagna, il Lazio e la Lombardia. Esistono ancora localismi e disomogeneità che non favoriscono l’efficacia e l’efficienza delle cure». Ma anche nel Friuli Venezia Giulia ci sono aspetti d’avanguardia. «Da alcuni anni – sottolinea Di Bartolomeo – la cattedra di Epidemiologia dell’Università di Udine coordina con l’Azienda ospedaliero universitaria Santa Maria della Misericordia lo sviluppo del primo registro traumi sperimentale italiano. Il progetto ha inizialmente accomunato gli ospedali di Udine, il San Cammillo di Roma e il Maggiore di Bologna suscitando poi l’interesse di altri quindici nosocomi italiani». Si tratta comunque di un problema che non riguarda solo l’Italia. In Gran Bretagna una ricerca condotta nel 2007 (National confidential enquiry into patient outcome and death–Ncepod) ha svelato che quasi il 60% dei pazienti traumatizzati ha ricevuto un’assistenza inferiore a quella ottimale. Il gruppo di ricerca che ha svolto lo studio è composto da Fabio Barbone (coordinatore del team), Stefano Di Bartolomeo e Francesca Valent dell’Università di Udine, da Carlotta Rossi e Abramo Anghileri dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Bergamo e da Fabio Beltrame dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Udine. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista scientifica “European journal of epidemiology”.  
Stefano Govetto