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Arriva il “mock trial”. E il processo entra in aula

Gli studenti di Giurisprudenza del corso di diritto processuale penale hanno giudicato un caso di spionaggio militare. Realtà o finzione? La risposta è “mock trial”, il dibattimento simulato portato in scena, a fini didattici, da un gruppo di studenti coordinato da avvocati di professione.
Un momento del processo simulato
Sgominato un caso di spionaggio politico-militare. A rischio la sicurezza pubblica. In manette i membri di una gang di malaffare, capitanata dal titolare dell’agenzia di investigazioni “Occhio di lince”, responsabile della violazione del sistema di sicurezza della difesa dello Stato. Capi d’accusa pesanti. In gioco anche implicazioni terroristiche legate alla rete di Al-Quaeda. È successo quasi un anno fa all’università di Udine. Protagonisti, i giovani studenti della facoltà di Giurisprudenza. Realtà o finzione? La risposta è: “mock trial”, ossia dibattimento simulato. Una messa in scena di un processo penale del tutto identico ai processi che si svolgono quotidianamente nelle aule dei tribunali del Paese. Esperienza molto diffusa nelle università anglosassoni, il dibattimento simulato rappresenta una singolare ed efficace occasione didattica. «Gli obiettivi – spiega Andrea Scella, docente di diritto processuale penale e fautore dell’evento per la prima volta all’ateneo di Udine – sono quelli di far familiarizzare gli studenti con le dinamiche di un dibattimento penale vero e proprio, di stimolare l’interesse per una materia molto complessa e solo apparentemente arida e di abituare i giovani studenti al pensiero critico». Imparare divertendosi, insomma. Ma niente a che fare con goliardate fini a sé stesse, sebbene la cura della teatralità non manchi. E come evitarlo quando è un gruppo di ventenni a dover affrontare i preparativi e la messa in scena, per seria e impegnativa che sia? «Gli studenti – ricorda Scella – preoccupati di non reggere “il palco”, non si sono risparmiati nemmeno nella cura della teatralizzazione». E così, in un pomeriggio di maggio, un’aula dell’ateneo friulano si è trasformata in aula di tribunale, dove, a colpi di articoli e commi di codici, si sono sfidati dodici aspiranti giuristi del corso in diritto processuale penale della facoltà di Giurisprudenza. Suddivisi in due gruppi, accusa (otto studenti) e difesa (quattro), coordinati rispettivamente dagli avvocati di professione Cinzia Bertossi ed Enrico Amati, i ragazzi si sono cimentati nel sostenere la propria linea davanti a un collegio giudicante composto, nientemeno, dal presidente del tribunale di Trieste, Arrigo De Pauli, dal rettore dell’università di Udine, Furio Honsell, e da Marco Zanotti, docente di diritto penale all’ateneo friulano. Il dibattimento simulato consente agli studenti di Giurisprudenza di avvicinarsi alla realtà delle aule di tribunale e di toccare con mano la pratica della professione. Il valore e l’impegno didattico sono notevoli sin dalla fase preliminare. Ci vuole un’idea, una “traccia” del caso. Che viene sviluppata come un copione curato in ogni minimo dettaglio, fino ad avere la verosimiglianza di un caso complicato e reale. Da qui parte la costruzione delle linee della difesa e dell’accusa, costituite dai gruppi di lavoro di studenti coinvolti. Un lavoro che richiede studio e ricerca sui testi giuridici, che consente lo scambio di idee e il confronto diretto non soltanto tra studenti e tra studenti e docenti, ma anche con professionisti del libero foro. Chiuso il processo, lette le motivazioni e pubblicata la sentenza, il mock trial costituisce un’esperienza formativa significativa e che senza dubbio gli studenti non dimenticheranno. «Un momento importante – conclude Andrea Scella – che permette di scendere dal piano delle acquisizioni teoriche a quello della concretezza applicativa, ma anche di abituare i futuri giuristi al pensiero critico, nella consapevolezza che il ragionamento dialettico, imperniato sul confronto di tesi contrapposte, trova la sua origine storica proprio in ambito giudiziario».   Quanti modi per insegnare? In ogni numero una storia  di didattica innovativa   Lo studio dei metodi di insegnamento sono alla base della didattica. E la didattica è, per natura, protagonista nelle aule della scuola di ogni ordine e grado, fino all’università. Comunemente, pensare alla didattica produce l’idea di un’aula con file di banchi popolate di studenti in silenzioso ascolto, e di un docente che dalla sua cattedra tiene la lezione. Un’immagine, quella della lezione frontale, che rispecchia, per ovvi motivi, la situazione forse più diffusa. Una modalità, tuttavia, che nell’ambito dell’insegnamento non è certamente l’unica. Si può insegnare, infatti, in molti modi. Non solo costruendo la lezione ex cathedra in maniera più o meno interessante o coinvolgente, ma anche portando in aula situazioni nuove, in cui gli studenti possono apprendere, ad esempio, ascoltando testimonianze o simulando essi stessi situazioni reali per l’applicazione sul campo della teoria della disciplina. Numerosi sono ormai gli esempi di didattica “innovativa” anche tra le mura delle aule dell’università di Udine. Ogni numero della rivista racconterà una di queste esperienze. Questa volta partiamo con la facoltà di Giurisprudenza e l’esperienza del processo simulato. L’obiettivo di questa sezione è proprio quello di andare alla scoperta delle esperienze più originali che si organizzano all’interno dei corsi di studio delle dieci facoltà d’Ateneo. Ma quali e quante sono le occasioni che hanno gli studenti di beneficiare di una didattica “diversa”? Segnalate le iniziative scrivendo all’indirizzo e-mail ufficio.stampa@amm.uniud.it . Racconteremo le vostre esperienze.  
Silvia Pusiol