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Ospedale e Policlinico hanno unito le forze

Intervista al direttore generale della nuova azienda ospedaliero-universitaria. Bresadola spiega le priorità per il 2007 e le criticità da risolvere.
Fabrizio Bresadola
L’Azienda ospedaliero-universitaria, che ha unito l’ex azienda ospedaliera “Santa Maria della Misericordia” e l’ex Policlinico universitario, è una realtà. A guidarla per i prossimi tre anni sarà il professor Fabrizio Bresadola, classe 1938, nato a Trento e laureato in Medicina a Parma nel 1963. Presidente del Policlinico universitario dal 2002, nell’agosto dello scorso anno viene nominato dalla Regione commissario straordinario della nuova azienda (4 mila dipendenti e 325 milioni di euro di bilancio) con il compito di traghettare la nuova struttura alla completa unificazione, sancita a fine 2006, quando Bresadola succede a se stesso nelle vesti di direttore generale. Da chirurgo a manager. Cosa l’ha spinta ad accettare l’incarico e qual è il primo bilancio di questa nuova esperienza? “E’ una sfida stimolante. Anche nel 1986, quando sono arrivato a Udine, ho lasciato a Sassari dove avevo tutto, per venire a lavorare in una struttura dove non c’era nulla, ma costruire una facoltà di Medicina era un progetto interessante. Costruire una nuova azienda è altrettanto stimolante. La chirurgia resterà sempre il primo amore, ma nella vita esiste un ciclo. Se me lo avessero chiesto 20 o 30 anni fa avrei detto di no. Oggi ho lasciato l’attività chirurgica un gruppo molto valido che può andare avanti da solo”. Quali sono le priorità da realizzare entro il 2007? “Il primo obiettivo è realizzare l’atto aziendale, ovvero l’organizzazione della nuova azienda. Abbiamo già fatto il Piano 2007, che è stato approvato dalla Conferenza dei sindaci e sta attendendo il via libera della Regione. In esso abbiamo inserito alcune delle principali esigenze da portare a termine”. Ad esempio? “Dal punto di vista tecnologico Udine è ferma da due anni. Sono necessarie alcune grandi attrezzature. Negli investimenti del 2007 sono previsti un acceleratore lineare per la radioterapia, tre Tac di cui una “a 64 strati” che è di ultima generazione e una nuova risonanza magnetica”. Quali le novità dal punto di vista dell’edilizia? “E’ necessario sistemare alcune strutture dell’ex S. Maria. Partiremo con la ristrutturazione della cardiologia, sia nella parte dell’emodinamica sia in quella ambulatoriale”. Il cantiere del nuovo ospedale sta procedendo: la convince il sistema del project financing proposto dalla Regione? “Si tratta di decisioni politiche. Quello che a me interessa è arrivare il più presto possibile a realizzare i primi due lotti e la centrale tecnologica. Dovremmo riuscirci entro il 2010. Si tratta di un obiettivo importante, perché un’unica struttura facilita anche l’integrazione. Uno dei maggiori problemi attuali è proprio la logistica: avere reparti simili distanti fra loro non aiuta l’unificazione”. L’integrazione del personale rimane uno dei principali scogli da superare? “Professori universitari e medici ospedalieri sono nati e cresciuti con due visioni diverse sulle problematiche della salute. Il personale dell’ex Policlinico e dell’ex Santa Maria devono vincere una naturale e comprensibile diffidenza reciproca. Io ho trovato professionalità mediche, sanitarie e amministrative di alto livello, quindi partiamo da un’ottima base, ora è necessario che tutti facciano uno sforzo per unificare il modo di pensare e di agire. Come direzione stiamo facendo un grosso lavoro per riuscire ad avere procedure unificate anche dal punto di vista amministrativo. Inoltre è necessario aumentare la comunicazione fra i vari reparti”. Carenza di posti letto e liste d’attesa: come pensa di risolvere queste criticità? “Oltre un migliaio di posti letto in realtà non sono pochi. Sono convinto che anche se venissero aumentati i problemi sarebbero gli stessi. Il problema è l’organizzazione pre e post ospedaliera che attualmente è inefficiente e che causa l’intasamento dell’ospedale. Basti pensare che soltanto il 20% delle persone che arrivano al pronto soccorso viene ricoverata. E i malati non hanno sempre la possibilità di essere trasferiti nelle Rsa dopo il ricovero ospedaliero. Questo non toglie che noi dovremo lavorare sulla nostra organizzazione interna per migliorare le prestazioni, ma senza un accesso più regolato e la collaborazione del territorio, il problema non può essere risolto”.
Simonetta Di Zanutto