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Diagnosi più precise con un migliore approccio al paziente

Cominciata nel 1991, l’attività della clinica di Semeiotica chirurgica del Policlinico universitario si è sempre più specializzata nel campo dei tumori. Oggi è l’unico centro in regione, oltre al Cro di Aviano, ad eseguire terapie di tipo loco-regionale.
Nato a Bolzano nel 1939, Pier Paolo Cagol si è laureato a Padova nel 1968. Dal 1974 al 1989 ha insegnato all’Università di Padova. Dal 1989 è docente all’Università di Udine, dove dal 1998 è direttore della Scuola di specializzazione in chirurgia dell’apparato digerente ed endoscopia digestiva chirurgica. Nel 1995 è stato socio fondatore della Società italiana delle terapie integrate loco-regionali in oncologia, del cui consiglio direttivo fa parte dalla data di fondazione. Fin dal 1982 Cagol ha preso parte a progetti multidisciplinari internazionali e nazionali per la realizzazione e la sperimentazione clinica di tecniche e metodologie per il trattamento loco-regionale integrato delle neoplasie. Dal 2002 ha organizzato e messo in atto a Udine il trattamento dei tumori degli arti e della cavità peritoneale con la somministrazione intraoperatoria in ipertermia di farmaci ad altissime dosi utilizzando la circolazione extracorporea. L’attività della clinica di Semeiotica chirurgica da lui diretta è orientata alla cura dei tumori. L’attività di ricerca è attualmente concentrata sullo studio dei fattori che regolano la crescita dei tumori e sulle possibilità di integrazione delle cure farmacologiche e fisiche con quelle chirurgiche. Professor Cagol cosa si intende per semeiotica chirurgica? “La semeiotica è una materia del corso di Medicina e chirurgia nella quale si insegnano allo studente le tecniche fisiche e strumentali con le quali rilevare i sintomi e i segni delle malattie al fine di farne la diagnosi. Nel corso si studi in Medicina insegno, appunto, queste metodologie”. Qual è la differenza fra l’attività della vostra clinica e quella della clinica di chirurgia generale? “In tutte le Università esistono più reparti di chirurgia che insegnano cose diverse, ma, da un punto di vista pratico, fanno le stesse cose. Ci differenziamo in sostanza soltanto per i corsi di insegnamento che teniamo nell’ambito del corso di studi in Medicina. La cattedra di chirurgia generale insegna la clinica chirurgica, noi la semeiotica, l’approccio al paziente dal punto di vista clinico”. Ovvero? “Oltre alle lezioni in aula e le esercitazioni pratiche, portiamo gli studenti in reparto, dove vedono, toccano e colloquiano con il paziente. In questo modo imparano a rilevare i sintomi e i segni che suggeriscono una diagnosi ed eventualmente a prescrivere gli esami utili a confermare o a precisare la diagnosi. Dal punto di vista assistenziale, invece, facciamo le stesse cose della chirurgia generale, in sala operatoria e in reparto”. La vostra attività si svolge in collaborazione con la chirurgia generale? “No. La nostra attività assistenziale è cominciata nel 1991, senza che avessimo una denominazione ben definita. Nel 2001 la Delegazione del Policlinico universitario ha ritenuto di istituire una Unità operativa di semeiotica chirurgica. Attualmente con la clinica Chirurgica abbiamo in comune il personale infermieristico, che è lo stesso, ma non i medici. Ogni clinica ha la propria equipe e i propri giorni fissati per gli interventi in sala operatoria”. Da cosa è dettato il ricovero nell’una o nell’altra clinica di chirurgia? “I pazienti arrivano attraverso i soliti normali canali, l’accettazione o l’input dettato da medici di base o specialisti. Non esiste una distribuzione dei malati sulla base delle attività che eroghiamo. Siamo due équipe con determinate specializzazioni, soprattutto nei campi in cui si fa ricerca, ma entrambe facciamo chirurgia generale”. In campo chirurgico qual è la vostra specializzazione? “La mia attività ha sempre riguardato la chirurgia dei tumori. In particolare, all’interno di questo grande campo, mi sono sempre occupato della cura dei tumori con terapie integrate loco-regionali. Si tratta di trattamento costituito dall’integrazione dell’atto chirurgico con altri metodi di cura, quali la somministrazione loco-regionale di farmaci o la somministrazione di agenti fisici quali le radiazioni ionizzanti o il calore (ipertermia). In regione siamo l’unico centro specializzato in queste procedure, a parte il Cro di Aviano, dove hanno avviato da poco una parte di questi trattamenti, e in Italia i centri specializzati sono poco più di una decina”. In cosa consiste la terapia integrata loco-regionale? “Per maggior chiarezza faccio degli esempi. Nel caso di tumore del colon o dello stomaco o delle ovaie, dopo l’intervento di asportazione della parte malata, eseguiamo un trattamento intraoperatorio di chemioterapia ad alte dosi in ipertermia. Grazie a una macchina facciamo circolare, nella cavità dell’addome dove abbiamo operato, un liquido ad alta temperatura, costituito da una soluzione con antiblastico, un farmaco contro il tumore. Nel caso della cura di tumori avanzati degli arti, con la macchina per circolazione extracorporea, una volta isolato l’arto, possiamo farvi circolare farmaci ad altissime dosi. Somministrato in questo modo, in una parte dell’organismo isolatola, è possibile utilizzare dosi altrimenti mortali di farmaco. Esso va a colpire direttamente le cellule del tumore senza colpire il resto del corpo e senza diffondersi attraverso il sistema circolatorio del paziente. Questo è il principio della terapia loco-regionale”. È possibile applicare questi sistemi a qualunque parte del corpo colpita da tumore? “In generale si può applicare negli arti, per tumori della pelle, dei muscoli, delle ossa; nelle cavità addominali e toraciche o anche in alcuni organi, quali, per empio, il fegato”. La vostra attività di ricerca è concentrata in questo campo? “Sì. Ci occupiamo della messa a punto e realizzazione di questi trattamenti. Facciamo parte di studi multicentrici nazionali e internazionali. Parallelamente conduciamo ricerche rivolte allo studio dei fattori di crescita dei tumori, cerchiamo di capire cos’è che fa crescere un tumore e il momento in cui la crescita avviene, per poter giungere ad una somministrazione degli antiblastici non più casuale, ma in momenti ben precisi e quindi maggiormente efficaci”. Di quali strutture dispone la clinica di semeiotica chirurgica? “Siamo un piccolo reparto. Abbiamo a disposizione da 4 a 8 posti letto e facciamo due sedute operatorie a settimana. Il giro di ricoveri è molto selezionato, operiamo un centinaio di pazienti all’anno. L’attività ambulatoriale, invece, è molto intensa. Come detto, siccome eseguiamo trattamenti che non fa nessuno in regione, molti pazienti provengono da fuori provincia e da fuori regione. A livello di personale, oltre a me ci sono due ricercatori strutturati e cinque specializzandi. Il personale infermieristico è in comune con la clinica Chirurgica”. Come giudica la creazione dell’Azienda unica? “Non sono contrario, in linea di principio. Mi spaventa, tuttavia, il concetto con cui è stato costruito questo nuovo ospedale in cui andremo a finire tutti. Secondo me, infatti, è stato pensato secondo un principio che non prevede di lasciare sufficienti spazi per la ricerca scientifica così come per la didattica”.       Nuova tecnica per i tumori al fegato   Punto di riferimento in regione e a livello italiano per l’applicazione delle terapie integrate loco-regionali nella cura dei tumori, la clinica di Semeiotica chirurgica ha introdotto cinque mesi fa in Friuli, per la prima volta in Italia insieme ad altri quattro centri (Roma, Bologna, Napoli e Massa Carrara), una nuova tecnica loco-regionale per il trattamento di tumori del fegato altrimenti incurabili. La procedura consiste «nell’iniettare – spiega il direttore della clinica, Pier Paolo Cagol – microsfere radioattive direttamente nell’arteria che nutre il fegato. Questo consente di eseguire una radioterapia potente e mirata soltanto a questo organo, senza intaccare gli altri». Altro settore di ricerca in cui la clinica è attiva è quello finalizzato a comprendere quali sono i fattori che fanno crescere un tumore, una volta che esso si è instaurato. «Il tumore – dice Cagol – per crescere deve crearsi il suo sistema di vene e arterie, per nutrirsi e proliferare. Sappiamo che questo avviene grazie a determinate sostanze, ma non sappiamo ancora in quale momento». Lo studio quindi è mirato a scoprire i momenti adatti a colpire queste sostanze quando sono attive, utilizzando farmaci già esistenti ed efficaci, ma che oggi vengono somministrati in modo “casuale”. «Cerchiamo di capire – aggiunge Cagol – qual è il momento giusto, quando l’organismo è inondato dalle sostanze che producono la crescita del tumore, in modo da bloccarle nel momento opportuno». Si tratta di un filone mondiale di ricerca «e credo – conclude Cagol – che gli studi arriveranno a una conclusione positiva entro due o tre anni». Infine, insieme alla Farmacologia universitaria, la clinica studia il differente comportamento dei farmaci somministrati per via loco regionale, confrontandolo con quanto avviene quando somministrati in modo tradizionale.  
Silvia Pusiol