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La ricerca dell'Ateneo va in orbita per frenare la vecchiaia

I risultati dell'esperimento partito con lo schuttle Discovery da Cape Canaveral. A bordo c'erano anche le cellule di ratto coltivate dai ricercatori dell'università udinese
Paolo Nespoli nella stazione spaziale con il campione di cellule dell'università di Udine
Valutare gli effetti delle radiazioni cosmiche e della microgravità su un campione di cellule tiroidee di ratto, somiglianti a quelle dell’uomo, coltivate in vitro ed esposte in ambiente spaziale. È l’obiettivo dell’esperimento messo a punto da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Patologia e medicina sperimentale e clinica dell’Università di Udine impegnati nello studio dell’invecchiamento dell’uomo. L’esperimento, approvato dalle Agenzie spaziali americana (Nasa) ed europea (Esa), è rimasto in orbita attorno alla Terra per tredici giorni sulla Stazione spaziale internazionale nell’ambito della missione Esperia. Lo spazio è infatti un luogo d’invecchiamento veloce e questo permette di esplorare le modificazioni che il nostro organismo subisce in tempi più brevi: probabilmente poche settimane invece di anni. La coltura cellulare selezionata dagli scienziati udinesi era inserita in uno speciale contenitore partito con lo shuttle Discovery il 23 ottobre scorso dal Centro di lancio “J.F. Kennedy” di Cape Canaveral (Stati Uniti) alla volta della Stazione spaziale. Il contenitore, preso in consegna dai sette astronauti dell’equipaggio della navetta tra cui l’italiano Paolo Nespoli, è rimasto esposto all’ambiente cosmico fino al 7 novembre quando il Discovery è rientrato sulla Terra. Ritornate a Udine le cellule sono state sottoposte a protocolli di purificazione del materiale biologico che ora viene studiato dai laboratori dell’Ateneo e di altri centri di ricerca italiani. Osservare e valutare gli effetti delle radiazioni cosmiche e della microgravità su questo campione di cellule servirà non solo a ridurre i rischi per gli astronauti, che in futuro affronteranno missioni sempre più lontane, ma anche possibilmente a ottenere importanti “ritorni a terra”. «L’obiettivo finale – spiega Francesco Saverio Ambesi Impiombato, coordinatore del gruppo di ricerca composto da Francesco Curcio, Antonella Meli, Giuseppina Perrella e Anna Maria Zambito – è individuare rimedi utili a migliorare la qualità della vita nella fase di invecchiamento. Per esempio, farmaci capaci di ritardare l’indebolimento del sistema immunitario». L’esperimento udinese rientra nel campo scientifico del progetto nazionale “Applicazioni biotecnologiche dalle molecole all’uomo: la ricerca spaziale applicata al miglioramento della qualità della vita della popolazione anziana” (MoMa), finanziato dall’Agenzia spaziale italiana e coordinato dall’Ateneo friulano. Del progetto fanno parte oltre 500 scienziati, 38 istituzioni e una decina di imprese del settore aerospaziale.
Stefano Govetto