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Scoperta anti-cancro apre la via a nuovi trattamenti

Trovati due composti capaci di uccidere cellule tumorali resistenti ai farmaci. Proseguono gli studi per la messa a punto e il loro utilizzo clinico. Anche grazie ad un nuovo macchinario.
Due nuovi composti in grado di uccidere le cellule tumorali che hanno acquisito resistenza ai più comuni farmaci anti-tumorali. È la scoperta frutto del lavoro del gruppo di ricercatori della facoltà di Medicina dell’università Udine, diretto da Claudio Brancolini, con la collaborazione dello statunitense National Cancer Institute, nell’ambito del lavoro di ricerca finanziato dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc). «Il lavoro – spiega Brancolini – apre una nuova, importante strada alla sfida più impegnativa della ricerca sul cancro, ossia quella di identificare nuove strategie per eliminare le cellule neoplastiche che acquisiscono resistenza ai comuni trattamenti chemioterapici». La chemioresistenza, ovvero la capacità del tumore di resistere anche alle dosi sempre più elevate di un farmaco anti-tumorale, è, infatti, uno dei maggiori problemi che pregiudicano la sopravvivenza dei pazienti. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Cancer Research. I ricercatori, dopo due anni di intenso lavoro, hanno identificato due nuovi composti con capacità di uccidere le cellule tumorali con potenzialità completamente nuove, attraverso un meccanismo diverso e più efficace di quello usato dai più comuni farmaci anti-tumorali. «I due composti – precisa Brancolini – sono dei “prototipi” e molti studi ancora, per la definizione in dettaglio del loro meccanismo di azione e per potenziarne l’efficacia, devono essere fatti prima di pensare ad un uso clinico degli stessi. Tuttavia, sicuramente una nuova strada è stata aperta». Artefici principali del lavoro, con Brancolini, sono stati Emanuela Aleo, dottoranda del dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche dell’università di Udine, e Clare Henderson, che dopo aver concluso gli studi nell’ateneo friulano, lavora come ricercatrice all’Ontario Cancer institute di Toronto. «Nel corso della ricerca – racconta Brancolini – abbiamo effettuato una selezione in laboratorio su una collezione di molecole». I due composti ottenuti sono degli inibitori di una classe di enzimi, le isopeptidasi, coinvolta nella regolazione della degradazione delle proteine. «La scoperta – continua Brancolini – mostra una maggiore morte delle cellule tumorali in seguito all’inibizione, da parte dei due composti, della degradazione delle proteine, probabilmente perché le cellule tumorali accumulano molto più frequentemente proteine mutate che devono essere degradate in continuazione per permettere la sopravvivenza delle stesse». Un aiuto per combattere il cancro viene anche da nuovi macchinari, come quello appena acquistato dal dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche dell’Università di Udine, grazie al finanziamento di 75 mila euro della Fondazione Crup, e ai contributi di 25 mila euro del centro di eccellenza Mati dell’ateneo friulano (il centro di ricerca che studia la plasticità muscolare nell’uomo in condizioni di stress) e di 20 mila euro provenienti dai gruppi di ricerca che operano presso il dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche. Si tratta di una stazione di microscopia per l’osservazione in vivo delle cellule “malate” del valore di 120 mila euro, la prima del genere consegnata in Italia. Osservare le cellule dal vivo aiuta a capire come le proteine regolano i principali processi vitali e come alterazioni di questi processi contribuiscono a generare le più importanti e diffuse malattie, tra le quali il cancro. Il nuovo strumento in dotazione al dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche permette, quindi, di registrare l’evoluzione dei fenomeni biologici dal vivo acquisendo, ad intervalli regolari, immagini dello stesso campione. Si ottiene così una sequenza relativamente fluida del fenomeno studiato. Un’analisi in vivo delle cellule tumorali, per esempio, consente di comprendere meglio perché talvolta queste cellule resistono alla chemioterapia e può quindi contribuire alla ricerca di nuovi composti che possono consentire lo sviluppo di nuovi farmaci. La microscopia finora si limitava all’osservazione di un campione di cellule o di tessuti “morti”. Ora però, con le nuove tecnologie, i nuovi sistemi ottici, lo sviluppo dell’informatica e soprattutto grazie alla possibilità colorare tutte le proteine, è possibile osservare i campioni dal vivo. La colorazione avviene, grazie all’ingegneria genetica, unendo le nostre proteine a una piccola proteina della medusa Aequorea victoria che ha la proprietà, quasi esclusiva, di emettere luce. La proteina della medusa diventa così una torcia microscopica che consente l’osservazione di dettagli finora inimmaginabili delle nostre cellule, ma soprattutto di osservarli in una cellula viva.